L'IODINOI

di: 
Gianluca Marziani


Il materiale

Plastica e solo plastica, metri insaziabili e siliconici di plastica dalle infinite possibilità elaborative. L’ingrediente primario di Philippe Delenseigne parla il linguaggio chimico della contemporaneità, mescolando una grande rivoluzione del Novecento con le posture orbitali dei suoi umanoidi sintetici. Il cammino del design è stato l’indicatore di come e quanto la plastica abbia riperimetrato le nostre esistenze: domestiche, lavorative, tecnologiche, sportive, nomadiche, sessuali… un’esistenza quotidiana dove sono diminuiti i pesi, cambiati i carichi e le tecniche, ribaltate le logiche pesanti di un passato più naturale ma meno funzionale. Plastica che significa casalinghi, bottiglie, hardware, falli e vibratori, abiti, carrozzerie, sedie, tavoli e altri complementi d’arredo, giocattoli, rivestimenti, rifiniture, contenitori, supporti audio e video… plastica che diventa materiale tra i più usati al mondo, a conferma di una vittoria globale della chimica applicata… plastica che va ricordata nella sua complessità, in quanto per materie plastiche intendiamo svariate sostanze che si sciolgono col calore e si induriscono verso la forma finale, adattandosi in uno stampo durante il raffreddamento… il plexiglas nasce nel 1924, i poliamidi (come il nylon e il kevlar) nel 1935, i poliuretani nel 1937, il teflon e i poliesteri nel 1938, il polietilene nel 1939… datazioni e composizioni diverse per un’entità che viene sempre dalla materia organica, dallo stomaco del nostro Pianeta, da elementi vivi come il petrolio e il carbone… plastica che è umanità e vita sedimentata, scomposizione e ricomposizione della materia, fossilizzazione di intere civiltà con le loro storie, emozioni, paure, avventure, speranze…

Plastica e Uomo, equazione necessaria per definire le coordinate emotive di un legame ingegnoso, ricco di intuizioni epocali, stravolgimenti e ritocchi, decadenze e deliri, sogni e magie…

La figura

Al centro del materiale si muove una forma ad Y che non è la nota automobile ma una figura umana, sagoma universale e archetipo dietro ogni singola vita. Due gambe secche con un angolo abbastanza aperto, due braccia che grattano il sedere del cielo, un busto e una testina di disarmante semplicità. L’uomo ad ipsilon appartiene al disegno primario di ogni esperienza infantile, per chi non impara a disegnare resta l’unica chance di descrivere la sagoma umana su foglio bianco. Un segno essenziale che evoca la figura con solo cinque linee e una sfera ad incastro obbligato. Una geometria variabilmente invariata che nel suo moltiplicarsi ci porta verso la doppia elica del Dna, verso le catene cellulari, verso la chimica che cementifica la natura e i suoi sviluppi organici. La Y, pensandoci bene, è una di quelle lettere che permette la catena infinita con omogenea linearità antropometrica: pensate alle due stanghette in alto, così simili alle braccia umane che si avvinghiano tra di loro in un ideale girotondo dell’umana specie.

Plastica e Uomo: incontro che si concilia secondo armonie crescenti e acquisite, basti pensare alla chirurgia plastica, disciplina scientifica che contiene un certo destino umano nella stessa denominazione medica. Il nostro sguardo satellitare scruta dall’alto l’umanità plasticosa di Delenseigne, sfiora a distanza le posture di questo yoga astrale, osserva divertito la ginnastica collettiva, i riti amorosi, le tensioni muscolari di una collettività formicolante e omogenea. Tutti uguali nel gioco formale di apparenze siliconiche, proprio come in una panoramica su folle da stadio. Una distanza che crea omogeneità ma non toglie nulla al destino dei singoli: avvicinarsi significa recuperare la nostra personalità, i lati caratteriali ed emotivi, le vicende private, le solitudini conquistate o imposte, il bello e il brutto di ogni scelta che in ogni istante facciamo.

Così lontani eppure sempre più vicini alla verità brutale delle cose, al senso di necessaria convivenza tra diversità. Corpi panoramici nell’approccio, in primo piano appena scavalchiamo l’apparenza delle distanze.

Le storie

Il volume plastico sviluppa la sua moltiplicazione con determinata coscienza narrativa. L’opera si mostra come un racconto istantaneo, sul punto di massima tensione agonistica. Senti l’evidenza muscolare dei corpi, la presenza di uno scenario che richiama la città, la casa, il lavoro, le relazioni sociali, il divertimento, i prodotti che acquistiamo, i gesti di una normale giornata in città… scorrendo le opere intuisci il caos entropico che regola individui e masse, una sorta di filamentosa energia in cui ci ritroviamo immersi, nostro malgrado ma anche per nostra fortuna atavica. Tutto è caos ma con regole scambievoli di convivenza, dialogo, attrazione fisica, feeling intellettuale. Le sagome si librano sulle superfici, danzano in un elegante richiamo matissiano, si abbracciano come uccelli divertiti, fino a ricreare forme composte che sembrano cervelli, sistemi arteriosi, ragnatele, palloni da calcio, vortici e uragani, tessuti ricamati, pattern astratti… Ogni movimento si moltiplica nella vertigine sonora di un’armonia collettiva, la musica inscena il richiamo primordiale che governa lo scivolamento di questo mondo ad ipsilon. I corpi paiono note affollate su un pentagramma capillare, suonano il proprio status con intonate sinergie collettive. Il Pianeta che vorremmo, brutalmente prolifico ma rigenerativo, è forse molto simile alle panoramiche gommose di Delenseigne.

L’artista

A proposito, l’artista è un francese, 1971 all’anagrafe di Calais, figlio domato delle banlieu parigine. Delenseigne ama il disegno fin da piccolo ma i materiali forti costituiscono la sua palestra creativa. Gesso, creta e marmo, finché scopre il fumetto e la pittura ad olio. A ventisei anni arriva in Italia dopo un viaggio in Nigeria, prima sta a Firenze e poi a Pietrasanta. Una veloce sintesi biografica che contiene gli elementi necessari di una costituzione genetica della creatività: cultura europea dal taglio mediterraneo (l’Uomo al centro del mondo), senso tattile della materia (la plastica come segno del materiale simbolicamente più nostro), cultura placida e metodica, scatto analitico attorno a temi moralmente elevati. Genetica e altri temi scientifici, ecosistema e surriscaldamento ambientale, malattie e decadimento, sesso e sessualità, famiglia e lavoro, consumismo e postcapitalismo: motivi di pressione etica che si trasformano nella sfida iconografica di molti artisti contemporanei. Per farlo c’è un’estetica che chiede materiali con lo spirito del nostro tempo. Forme manipolabili che smuovono lo sguardo preoccupato ma indomito, proprio come accade a Delenseigne nei suoi viaggi ad alto tasso plastico.

Il progetto odierno concentra le energie nel bianco su bianco, riduzione al grado uno per un’apparente omogeneità che racchiude milioni di variabili cromatiche (i sentimenti e le storie individuali) sotto l’apparenza dei nostri abiti/divise. Dietro ogni bianco, in fondo, si nasconde sempre un colore.

Io siamo Noi

Noi siamo Io

Tutti siamo ognuno

Il mondo cammina dentro ognuno di Noi